E tu uomo lavorerai con gran sudore", la condanna inferta al primo uomo, la fatica del lavoro, memoria del paradiso perduto, oggi diventa per assurdo il paradiso che non può più attendere, perché la vita senza lavoro è un inferno in terra. Il lavoro è l’essenza stessa della vita, del suo mantenimento, della sua continuazione. La costruzione di un mondo migliore, una convivenza più giusta passano attraverso il lavoro dell’uomo. Un uomo migliore è un uomo che lavora. Menzogna la libertà senza lavoro, caricatura la democrazia.
La festa del lavoro che non c’è è ormai alle spalle. Consegnato il Primo Maggio alla consuetudine di reperti museali che niente raccontano al pellegrino di verità, che cerca adesso, nell’ora che vive, le sue risposte per dare senso alla sua vita, mentre invece trova muri invalicabili nella società dell’ingiustizia che fa del lavoro una concessione gratuita e non un diritto sacrosanto. Passata la festa, resta la sofferenza di chi ancora cerca un lavoro, la disillusione di chi non lo cerca più, l’amarezza di chi si sente preso in giro da un rito stanco che riempie le piazze di parole già date in cerca di altro spettacolo, senza visionari capaci di organizzare futuro.
Intanto il mondo del lavoro cambia, cambia la stessa idea di lavoro e mentre ad altre latitudini si attrezzano, si ristrutturano, si organizzano e inventano spazi di nuovo significato all’impresa, al commercio, alla tecnica, alla ricerca di mezzi e strumenti di nuova generazione, la classe politica nostrana gioca al massacro, pensando ad inventare nemici piuttosto che a coltivare speranza. Politica di menzogna che vende pane avariato pronto a ingannare, con redditi a tempo, a chi di tempo non ne ha più; politica che proclama a gran voce la sua differenza dalla vecchia classe partitica, e forse sarà pur vero, ma come per il passato fa delle parole di fumo la sua strategia, promette certo e promette tanto, mentre nel frattempo i conti di chi non ha più conti da fare con il pane da mettere a tavola raccontano un’altra storia: storie di dolore, di drammi quotidiani.
Storie come quella di Raffaele che come altri, sempre più numerosi e disperati, prendono coscienza di essere stati lasciati soli da quella loro patria che dovrebbe essere fondata sul lavoro, avvertita ora come un bluff che fa cittadino solo chi la dignità la conserva per il lavoro che fa. "Ieri insieme ad una folla di persone ho partecipato ai test TFA sostegno a Suor Orsola Benincasa. Che brutta cosa leggere negli occhi di tutta quella gente la disperazione, la possibilità di lavorare ed elemosinare un diritto quale l’accesso ad un lavoro dignitoso. Persone anche adulte come me che mangiavano un panino seduti su di un marciapiede con la consapevolezza che anche ieri poteva concludersi con un nulla di fatto. Gennaro, mi devi credere, un senso di vuoto per quella guerra tra poveri, indescrivibile".
Raffaele non ce l’ha fatta e come lui tantissimi. Penso ai progetti mancati, penso a come si possa sentire un uomo non più giovane che avverte sulla carne lo sguardo dei suoi familiari che probabilmente non passano colpa, ma che arrivano comunque come giudizio di condanna, perlomeno avvertiti come tali, come di chi si sente addosso il flagello del refrain: "Quando uno vuole, poi il lavoro se lo cerca, lo trova".
Penso a quei giovani che potrebbero davvero trasformarlo questo mondo del lavoro con il loro entusiasmo, la loro passione e invece devono rinunciare ai loro sogni, ai sacrifici che le famiglie hanno fatto per loro, per poi accontentarsi di lavoretti di fortuna lontani da quello che avevano studiato, da ciò per cui erano stati formati, lavori in nero, sottopagati, spesso perfino quando sono in "regola", manovalanza a basso costo.
Tanti preferiscono andare altrove, lontano dalla patria, accolti da chi madre non è ma che li cura come figli, altri ancora, troppi, rinunciano definitivamente uscendo dal mercato che diventa sempre più povero, sempre più vecchio. Penso alle tante donne lontane da quella parità di lavoro sbandierata che pure meriterebbero per capacità, per serietà, per bravura. Le leggi restano scritte, la realtà dice disparità di salario, discriminazione per maternità. E quanto lontani si è dal gratificare il lavoro delle tante donne che hanno scelto di essere casalinghe e davvero dovrebbero godere di reddito che di sicuro porterebbe più forza alla famiglia e più dinamismo alla crescita economica e invece sono dimenticate. Il Primo Maggio è passato, una liturgia stanca come in quelle chiese dove ancora si predica, dove il prete pensa che qualcuno lo ascolti, dove si entra solo per sedersi un attimo per dare uno sguardo veloce, mentre un pensiero silenzioso attraversa la navata: «Chi sa che ha voluto dire». Già!
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