Credente o meno, per fede o per cultura, chi vive alle nostre latitudini, sa che questa domenica si colora di verde ulivo, primo giorno di una settimana detta santa. Puoi credere o meno ma il tuo destino resta legato ad una terra che respira aria di sacro già di suo, stretta com'è nell'abbraccio di mille cupole e di atavici riti che l'attraversano nel ventre. Perfino i battenti della Madonna dell'Arco, comica e tragica espressione popolare di fede fai da te, al dissacrante procedere tra danze improvvisate e musiche neomelodiche, danno colore ad un'attesa che vede Pasqua come meta e il Calvario inevitabile e scandaloso checkpoint.
Un verde ramoscello per inaugurare un percorso difficile da raccontare perfino al credente che veste di miseria il divino, lo spoglia degli attributi di gloria e di potere per consegnargli la storia umana per intero, senza orpelli, senza maschere, storia di dolore, di tradimento, di caduta, di croce. Storia di storie che il quotidiano raccoglie nel cedere incalzante di vita che si fa morte, di amore che resta tradito, di pace offesa. Ma provocazione di speranza a chi credente o meno vuole dare ragione alla sua vita, trovare un senso anche alla sconfitta, ragionare di nuovo, di bello, di possibile, di vittoria mentre ancora la notte è profonda e la luce del giorno tarda a spuntare.
Molti cercheranno i riti della settimana santa per viverli da spettatori, curiosi e turisti affolleranno basiliche e chiese, racconteranno la sorpresa o l'incanto, la delusione o la propria ignoranza. Sarà sicuro spettacolo, teatralità al culto non manca. Ma quanto sarebbe scandaloso e perdente che il credente, il gregge e il pastore, uguale percorresse il pellegrinaggio santo verso il sepolcro come semplice spettacolo, con stessa movenza, invariata sostanza dello spettatore, senza comprendere appieno il significato fosse solo per passarlo a chi non lo ha compreso ancora. Un ramo di ulivo segna il confine per chi crede o non crede tra l'essere uomo di pace o di discordia, non è obbligo scegliere il Crocifisso per dirsi contro tutte le croci del mondo, bambini stuprati in patria o in Siria, pane rubato ai poveri, giustizia negata agli offesi, barriera da opporre ai violenti in parole ed opere, e poi guerra, tanta guerra dappertutto. Ma oltre il simbolo del verde scambiato per umana alleanza o per cultura, c'è una fede da raccontare, un significato da passare. Perché il dolore del giusto?, perché di questo si tratta, di come la fede risponde.
Questa l'eterna domanda che attanaglia la terra, che insidia anche l'uomo di fede. Perché la morte? Questa la domanda che non trova risposta se non si comprende che in ogni croce del mondo c'è impresso, per chi crede, il Cristo sfigurato, crocifisso per la salvezza degli uomini. La Domenica delle Palme è la più contraddittoria delle celebrazioni liturgiche, ma è anche la più umana perché descrive la realtà di un dramma e racconta il salto dalla fede alla disperazione, dal coraggio alla paura, dall'abbandono in Dio al sentirsi abbandonati da Dio. La festa fa i conti con la croce che segna il confine tra chi cerca un Dio che non trova e chi, accogliendo il grido al cielo dell'unico innocente, riesce a proclamare come il centurione ai piedi della croce: "Questi davvero è il figlio di Dio" (Marco 15,39). La croce è lo spartiacque tra l'illusione e la consapevolezza di una vita intrisa di gioia e dolore, tra un Dio avvertito come traditore o Padre: "Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato" (Is 50,7). La passione del Padre, che consegna la sua risposta il terzo giorno, è celata sul legno della croce ma già da allora presente nel dolore del Figlio, nelle sofferenze dei figli.
In quel legno il corpo martoriato del Cristo lascia impresso, come in un calco, il suo amore e diviene compagnia, conforto, condivisione nella sofferenza che sempre lascia il suo segno. Un atto d'amore, il più grande della storia, si consuma sul Colle del Cranio per rispondere al dolore dell'uomo. Se la terra è schiava dell'odio che genera morte, solo il cielo può aprirla alla vita e su quel colle Dio è posto dinanzi a una scelta fatale: morire d'amore o rassegnarsi a un amore che muore nelle speranze tradite degli uomini. Il Dio cristiano è Amore e se muore l'amore è Dio che muore lentamente nel cuore degli uomini e da relazione, da parola, da vita diventa idolo, feticcio.
Si può morire per amore e Dio ha scelto di scendere nella morte perché l'amore non morisse. Difficile raccontare la fede ma dato che anche il calendario dice santa una sola settimana l'anno, potrebbe risultare interessante saperne il perché anche a chi credente non è. Scambiarsi un ramoscello di ulivo, oggi, vale di sicuro per tutti come speranza di nuova speranza su ogni morte innocente.
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