IDIOTA
Se consulto il vocabolario italiano, il primo che mi capita sottomano (Dizionario della lingua italiana, di Devoto e Oli), leggo alla voce idiòta: “Caratterizzato da una vistosa e sconcertante stupidità” ; ... e cose simili (più o meno). La definizione del lemma si conclude, poi, “… [ …dal greco: idiòtes , individuo privato senza cariche pubbliche … ]”. Faccio notare di passaggio che nella stessa pagina del Dizionario si trovano parole come idiòma e idiotismo, che proprio niente hanno a che vedere con la stupidità. Idioma è una lingua particolare, propria di un gruppo di parlanti ben definito (diciamo: una lingua nazionale oppure un dialetto); e idiotismo è una forma espressiva particolare, tipica di un gruppo di parlanti molto ristretto (corrispondente – potremmo dire – o a un quartiere o a una sola città, se non addirittura a un gruppo familiare).
Allora vado a consultare un vecchio vocabolario di greco antico, il buon Bonazzi (“Dizionario Greco – Italiano, compilato ad uso delle scuole della Badia di Cava dei Tirreni da S. E. l’Arcivescovo di Benevento, D. Benedetto Bonazzi O.S.B., professore pareggiato nella R. Università di Napoli”).Meritava proprio questa citazione! Ricca di informazioni e di storia. L’altro vocabolario di greco antico, ancora in uso nelle scuole (che negli anni ha soppiantato il Bonazzi, monaco benedettino), è il Lorenzo Rocci (religioso della Compagnia di Gesù). Dicevo: vado a consultare lo storico vocabolario greco e concludo – mi pare di capire – che l’”idiòtes”, presso i greci era una persona che in un certo senso viveva da solo, badava ai fatti suoi, non si curava di partecipare alla vita pubblica e alla gestione dello Stato. E voi, la chiamate stupida una persona tale?
Intanto oggi utilizziamo la parola col significato negativo dato dal Devoto-Oli, così come essa ci è arrivata dai greci dopo essere passata nella lingua latina; e prendiamo atto dell’enorme scivolamento di significato che essa ha dovuto subire per arrivare fino a noi.
Però, a ben riflettere, chi è più idiòtes (che pensa ai fatti suoi!) oggi? Chi si tiene lontano dalla politica o chi vi si butta e ci sguazza dentro ?
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CAFONE
A chi piacerebbe essere chiamato cafone?
Eppure, nonostante ciò che si crede, non c’è niente di moralmente degradante nella parola cafone! Lo spiega bene Ignazio Silone (1900-1978), nella prefazione al romanzo Fontamara (1933), dove sceglie per sé il ruolo del narratore, un cafone emigrato in Svizzera, al quale altri cafoni provenienti dalla piana del Fucino, hanno raccontato la storia che egli poi si accinge a “narrare fedelmente” nel romanzo “Fontamara”. In effetti questa parola è connotata sotto l’aspetto sociologico e non dovrebbe avere nessuna implicazione di carattere morale, come ho detto. Però, attraverso l’utilizzazione capziosa, per non dire maliziosa, che ne fanno i rappresentanti della classe egèmone, cioè i ricchi borghesi, le si dà un significato di tipo socio-economico o addirittura morale, falsando completamente il suo originario significato.
Silone, dando al testo la forma del genere autobiografico di prima e di seconda mano (il narratore che riporta il racconto dei personaggi narranti [come fa Manzoni col manoscritto]) riscatta la condizione del cafone, facendo vedere come se qualche discriminante, civile o morale, esiste nei rapporti sociali in termini di educazione e di umanità, questa è assolutamente svantaggiosa per la classe dominante: il prete, il farmacista, il maestro, l’avvocato. Almeno, lo era una volta. Si spera! La povertà non è una vergogna, come non lo è la condizione di cafone. Spesso è più vergognoso il comportamento dei ricchi e dei potenti. Infatti, cafone, etimologicamente (cioè, in base al suo significato più antico), non significa né povero, né contadino, né incolto, come spesso siamo portati a credere. Questo lo si evince anche dal discorso che ne fa Silone in tutto il già citato romanzo.
All’origine della parola c’è un vocabolo greco, tipico del meridione italiano, dove più a lungo si è conservato l’uso del greco attraverso la presenza dell’influsso della cultura bizantina. Kakòphōnos (plurale: kakòphōnoi), sono quelli che parlano male una lingua. Attenzione! Questo è il giudizio che ne danno quelli che “ritengono” di parlarla bene, senza rendersi conto che la loro è una lingua completamente diversa da quella dei contadini. Come dice Silone. E’ la classica scena delle rappresentazioni stereotipate di una realtà di paese, vista tante volte in certi film, in cui il prete, il maestro elementare, il farmacista si collocano al di sopra del livello del popolo per una loro presunta prerogativa di parlanti colti.