La mostra in visione fino al 24 giugno racconta il mondo enigmatico dell'artista, uno spazio mentale intimo dove le pareti ci sussurrano segreti, nel silenzio. Amalia Piccinini ci invita nel suo studio immaginario e il tempo sembra sospeso tra le diverse stanze mentali. Ciò che colpisce è il blue come velluto gran parte dello spazio. Un blue Klein metaforico e allusivo che scivola silenzioso, seguendo le pareti senza soffitto e denunciando la tensione dell'artista verso l'illimitato, l'immateriale, l'infinito. Scorgiamo tele monocrome, tavoli a cui manca una gamba, sedie sospese, cassetti chiusi .Una misteriosa sensazione di quiete, forse data dal preponderante blue, copre il suono di movimenti interiori profondi, inevitabili. Sono i rumori della vita, che dall'inconscio spezzano ogni tipo di silenzio.
Abbiamo intervistato la giovane artista di San Benedetto del Tronto durante e dopo l'opening della mostra.
Come vivi il tuo silenzio?
«Come nel titolo della mostra, il silenzio è qualcosa che mi sembra di indossare interiormente; può essere come la musica se si ha la capacità di saperlo ascoltare. Fa parte di me anche quando intorno ci sono i rumori della vita, forse è un' idea di perfezione, è il mio stato d' animo più ambito».
Come crei il tuo spazio?
«Lo creo seguendo un luogo della mia mente in cui ho la visione di me stessa che vive in stanze grandi e silenziose, quasi vuote. Le pareti hanno i toni del blue e su queste si muovono i miei quadri che sono in relazione con pochissimi altri oggetti. S' instaura un silenzio magnetico e pacato attraverso i colori e l' ambiente».
Qual è il tuo rapporto con il colore? In base a che cosa scegli il colore? Perché dai priorità ai colori "freddi"?
«Il rapporto con il colore è intimo ed inequivocabile. Nasce da visioni precise, da esigenze estetiche e da associazioni sinestetiche.
Vedo e sento i colori nello stesso momento, sono flash nella mente.
Non scelgo il colore, è un processo che avviene; lo vedo, lo sento, lo cerco sulla tela e nello spazio seguendo quella visione precisa che mi ossessiona a volte per mesi.
In passato ho lavorato con molti colori anche i più caldi, ma ora li associo al caos e al rumore.
In questa mostra non ci sono colori freddi; ci sono i miei blu, i miei verdi, i miei celesti e le mie sfumature, i miei silenzi e la mia voce».
Quando hai iniziato a lavorare coinvolgendo pittura, installazione e spazio, usando quindi più media?
«Anche in passato, seppure in modo diverso ero interessata agli oggetti, andavo a cercarli, li reciclavo, li dipingevo e li mettevo in relazione con i quadri e con lo spazio, creavo delle atmosfere. Mi piaceva trasformarli in altro.
Per "Indossare il silenzio" sapevo che le pareti non sarebbero mai più state solo bianche, perché questo spazio immaginario della mia mente rappresenta casa mia o il mio studio, un luogo che nella realtà non esiste (vivo in una piccola stanza e dipingo in uno spazio limitato) ma tutto può essere possibile se si è visionari».
Che rapporto desideri instaurare con il pubblico?
«Il mio lavoro evoca un lungo discorso, un mondo personale in cui dico cose diverse in lingue diverse, penso che il pubblico possa "sentire" la mia presenza e la mia assenza.
L' installazione ha un senso di enigma, come se io fossi sempre nelle stanze, forse al corner seduta a leggere un libro o semplicemente ad osservare le persone appoggiata alla colonna».
Qual è il significato degli oggetti scelti per questa installazione? i cassetti chiusi intrappolati nella parete, tavoli a cui manca una gamba, sedie sospese.
«I cassetti sono intrappolati al muro in modo che non si possano aprire: a volte memorie e ricordi, nostalgie e connessioni dall' inconscio possono turbare, belli o brutti che siano.
I tavoli che si reggono su una gamba? La fragilità, l'instabilità, ma anche la forza, la reazione, lo sforzo di farcela anche in condizioni dolorose. Direi anche il fascino di una bellezza imperfetta.
Le sedie sospese o rotte: la dignità, il rifiuto di far sedere qualcuno, il riscatto estetico, vogliono essere ammirate quanto un quadro, vogliono essere arte.
Poi ci sono alcuni telai storti a ricordare che le imperfezioni fanno parte della vita, ma anche che queste hanno qualcosa che le rende uniche e dunque interessanti.
Ho molto rispetto per la voce degli oggetti, fanno tutti parte di un mio " rebus" interiore di arte e vita».
Come vivere nella città di New York influenza la tua percezione e il tuo lavoro?
«New York influenza il mio lavoro ogni giorno, è una città dove esperienze, confronti ed incontri con tutto il mondo cambiano ed arricchiscono la vita e la percezione. Sono qui per osservare ed ascoltare, per dilatare la mia mente al massimo. Questo forse più di tutto: aprire la mente fino a sconvolgerla, riempirla di vita e di esperienza».
(Pubblicato su Oggi7 del 15 giugno 2008)