Dacia Maraini: "Ecco come nascono i miei romanzi"

Paola Aurisicchio (February 25, 2016)
Eco, "Un grande amico di cui ammiravo tanto la vena ironica perché amava prendersi in giro. “Agli americani consiglio di leggere I 'Viceré' di Federico De Roberto”. E’ l’invito alla lettura che Dacia Maraini, tra le voci più note della letteratura italiana, rivolge ai lettori americani. Li ha incontrati a New York: prima all’Hunter College (Cuny) e poi alla Casa italiana Zerilli-Marimò (NYU).

Originaria della Toscana, la scrittrice autrice del recente “La bambina e il sognatore” (Rizzoli, 2015) e della raccolta di racconti “Buio” con cui ha vinto nel 1999 il premio Strega - il premio letterario italiano più importante - ci ha raccontato cosa rende diversa la letteratura italiana da quella americana con un ricordo dell’amico Umberto Eco, il noto semiologo e scrittore scomparso il 19 febbraio. 
 

Henry James  diceva che l’Europa era troppo sofisticata, corrotta”, ha detto Maraini citando il celebre scrittore americano e iniziando a spiegare in cosa i libri italiani e quelli americani sono distanti. “Quelli italiani sono attenti all’aspetto letterario, sofisticato della scrittura. Gli americani, invece, hanno un rapporto più diretto, più rivolto ai contenuti”, ha proseguito. “Meno si legge e più la letteratura diventa sofisticata, fine a se stessa. Questo accade soprattutto in un Paese come l’Italia dove si legge poco. In America, invece, si legge molto”, ha proseguito, “ed è anche per questo motivo che rende le idee piu' accessibili. Se dovessi consigliare un libro italiano agli americani non avrei dubbi: I Viceré di Federico De Roberto”.  
 

Saggista e anche drammaturga e sceneggiatrice, Maraini ha ricordato Umberto Eco,  "Un grande amico di cui ammiravo tanto la vena ironica perché amava prendersi in giro", ha detto Maraini. "Umberto Eco ha avuto il coraggio di rompere l’idea di letteratura morta. Nel periodo in cui pubblico'  'Il nome della rosa' si diceva che la letteratura fosse morta.  Umberto invece scrisse un romanzo che ha rilanciato l'editoria italiana nel mondo”, ha spiegato.  
 

Prima di firmare autografi sui suoi libri tradotti in inglese, la scrittrice si è raccontata al pubblico
raccolto nella sala dell’Hunter College. Lettori, studenti e appassionati  hanno rivolto varie domande a Maraini. “Come nascono i suoi personaggi?”, “Le parole hanno ancora una forza?”, “La sua esperienza personale entra nei libri?”. E ancora molte altre. E Maraini con grande generosità ha spiegato il suo modo di scrivere, ha detto che quando inizia un romanzo non sa come finirà.  

"Parto da un personaggio che cresce insieme al romanzo il cui finale mi è totalmente sconosciuto", ha illustrato  Maraini il cui primo successo risale al 1962 con il romanzo "La vacanza" seguito, tra gli altri, dalla "Lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990, premio Campiello), "Bagheria" nel 1993 e "Colomba" nel 2004. 

Per Maraini c’è una differenza tra la potenza della parola e il chiacchiericcio in cui, a volte, si trasformano le parole soprattutto con l’avvento dei social media. 

“Le parole hanno ancora una forza”, ha risposto a una lettrice. “Ma è importante il modo in cui uno scrittore usa le parole.  Soprattutto oggi in cui le nuove tecnologie stanno affievolendo la potenza delle parole." " Quello in cui credo fermamente”, ha proseguito ancora, “è la forza del pensiero, del lavoro che nasce da un’idea. Penso ad esempio alla politica, che per me significa crescere insieme. La politica, oggi, ha perso molto del suo potere perché deve tornare a lavorare con il pensiero”.

 
Maraini ha trascorso l’infanzia in Giappone, dove la famiglia si era stabilita dal 1939, finendo internata in un campo di concentramento perché suo padre si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, il regime fascista guidato da Benito Mussolini.  

 È alla drammatica esperienza che la scrittrice ha fatto riferimento rispondendo a un’altra domanda del pubblico e raccontando come, non solo quella tragedia abbia permeato i suoi romanzi, ma come dal dramma ne sia nato un esempio di idealismo. “Il campo di concentramento in Giappone ha cambiato la mia vita e ricordo che mi stupivo ogni sera di essere sopravvissuta”, ha detto Maraini. “Patimmo la fame e le bombe perché mio padre si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò decidendo così di rischiare molto. In quel gesto di mio padre è diventato un grande esempio di idealismo per me”, ha concluso.

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