“Cities–Places Visionaires”. In mostra il fascino delle Metropoli, teatro e ritmo dell'identità umana
E' in un caldo pomeriggio d'autunno, il 28 Settembre, che guru dell'architettura e maestri della fotografia internazionale si danno appuntamento per una convention d'eccezione all'Auditorium Parco della Musica di Roma. L'evento è di quelli da incorniciare. Riflettori puntati sulla Festa dell'Architettura in programma nella Capitale del BelPaese nell'Aprile 2010.
A fare gli onori di casa è il Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2000, Paolo Soleri.
L'architetto-artista, allievo di Frank Lloyd Wright, una vita trascorsa negli States a progettare costruzioni ecologiche, è fondatore della Cosanti Foundation e della città-prototipo Arcosanti, dove abita, nel deserto dell'Arizona. Il pluripremiato urbanista tiene a battesimo la Festa dell'Architettura: parla di rispetto dell'ambiente, dibatte problemi ecologici e sociali, spiega il concetto di arcologia, mix di architettura ed ecologia, legato al delicato equilibrio uomo-natura. Per Soleri l'obiettivo della Festa dell'Architettura è indicare “l'unica direzione praticabile nel futuro: attenzione all'uomo e al suo rapporto con l'ambiente naturale, vero, unico, irriproducibile patrimonio dell'umanità”.
Evento cornice della Festa è “Cities–Places Visionaires”, collettiva promossa dal LAC, Laboratorio Architettura Contemporanea, curata da Camilla Boemio. “Cities” esplora l’architettura in itinere di città internazionali, contempla scorci emozionali di paesaggi industriali, svelando metropoli come prime donne assolute dell'urbanistica.
Gli esperti promuovono la città come “strumento necessario all'evoluzione umana” e auspicano che l'esposizione “sensibilizzi i cittadini ad un maggior rispetto dell'ambiente e delle trasformazioni che l'architettura ha sulle città e sulle vite di tutti noi”.
Alla collettiva partecipano alcuni dei più famosi fotografi europei:
Marco Zanta, Gabriele
Basilico, Michael Wolf, Stefano Graziani e Peter Schloer. C'è spazio anche per la video-art di Damir Ocko con “The end of the World” e Shaun Gladwell con “In a station of the Metro”.
Passeggiamo tra gli scatti di questi maestri dell'arte contemporanea.
“Cities–Places Visionaires” inizia con istantanee tratte da “UrbanEurope”, serie di Marco Zanta. Le esperienze di lavoro in Europa, Stati Uniti e Giappone svelano l'estro cosmopolita dell'artista.
Con “UrbanEurope” Zanta ci conduce da Helsinki a Lisbona, da Londra a Roma, lungo un percorso estetico-introspettivo tra le capitali europee. Obiettivo del viaggio? Scoprire architetture urbane, cogliere scelte stilistiche proprie delle città, definire simboli caratteristici delle metropoli per ipotizzare l'“identità Europea”.
Camminiamo per strade di Londra, sbirciamo tra i palazzi a vetri di Manchester, ammiriamo sgargianti murales lungo le scalinate di Barcellona.
Siamo rapiti dal fascino di queste istantanee: urbanistica dai toni accesi, pubblicità, scorci di edifici sembrano prender vita. Gli scatti esprimono il dinamismo di metropoli in corsa. Il risultato è un tuffo in capitali multietniche. I visitatori indicano vie, riconoscono posti, ricordano realtà già viste o vissute. Comunque condivise.
Ci muoviamo tra monumenti di Berlino, intravediamo splendidi scorci di Valencia, osserviamo l'architettura di Bilbao.
“UrbanEurope” è parte integrante e, nel contempo, riflette appieno lo spirito di “Cities-Places Visioner”. Zanta costruisce un paesaggio variegato e allo stesso tempo uniforme, poliedrico ma composito, cosmopolita e che racconta un’identità unica. Quella europea.
L'idea del fotografo prende forma: “UrbanEurope” delinea i tratti di un'unica città che esiste, anche se frammentata, in diversi Paesi, in una dimensione condivisibile, europea appunto.
Le affinità tra culture limano le diversità: le identità nazionali si fondono in un'unica città-Paese possibile. Per Zanta nasce la città-Europa.
Il viaggio di i-Italy attraversa le capitali di “Cities–Places Visionaires” e fa tappa tra gli scatti di Gabriele Basilico, uno fra i più noti documentaristi europei.
Il fotografo-architetto partecipa alla collettiva esponendo una serie di sguardi su Berlino. Le istantanee sono il frutto di un'esplorazione urbana che ha come campi d'azione paesaggi industriali, aree edili, fabbriche delle periferia tedesca, come soggetto l'architettura di Berlino. L'istallazione mostra spaccati di palazzi dall'alto, in foto bianco e nero. L'occhio dell'artista vigila sugli eventi dall'esterno. L'impressione del primo impatto è un senso di isolamento, quasi di vuoto inteso come assenza di fattore umano. La domanda che ci suggerisce è “dove sono le persone?” e ancora “se i luoghi non sono abitati sono non luoghi?” .
Un addetto ai lavori, forse critico d'arte si accorge delle nostre curiosità. Si avvicina e lo interroghiamo sull'arte di Basilico. La nostra guida ci spiga che “l'urban style del fotografo cristallizza la realtà, dà un senso di provvisorio, quasi una sospensione del tempo nello spazio. L'esperto rivela che “la tecnica del bianco/nero e le foto dall'alto non sono indice di scissione dalla vita, ma distacco dal “caos sociale”, finalizzato a raggiungere l'intimità dei luoghi...Un coinvolgimento senza distrazioni, per assimilarne meglio la natura”.
Paesaggi industrie, fabbriche, aziende palazzi, da non luoghi in bianco-nero diventano luoghi vissuti.
Gabriele Basilico, su incarico del Dipartimento di Fotografia del SFMOMA, San Francisco Museum of Modern Art, realizza la sua prima campagna fotografica negli Stati Uniti. Più di quaranta scatti tra la Silicon Valley e San Francisco.
Ci colpisce il valore dell'estetica ma ancor più l'eredità morale che ci lascia questo architetto della fotografia. Per Basilico “l'arte nasce dal bisogno di trovare un equilibrio tra un mandato sociale, di cui spero essere testimone e la voglia di sperimentare linguaggi nuovi, in grande libertà e senza condizionamenti ideologici".
Il nostro itinerario nell'arte di “Cities–Places Visionaires” prosegue. Le tele si snodano lungo la sala.
Gruppetti di visitatori attirano la nostra attenzione. Estimatori d'arte, semplici turisti. Tutti confabulano, scambiandosi commenti e osservazioni. Ci avviciniamo incuriositi.
Fra la folla intravediamo varie foto: palazzi con spennellate rosa acceso, tratti di verde brillante. Edifici con balconi rosso fuoco disposi “a croce greca”. Ecco il motivo del vociferare: gli spettatori stanno ammirando scatti tratti da “Architecture of Density” di Michael Wolf.
La personale è stata esposta a New York presso la Hasted Hunt Gallery nel 2004 e al Bryant Park.
“Architecture of Density” ritrae un'urbanistica dai tratti asiatici, con essa Wolf ci conduce nell'affollata Hong Kong.
Tedesco di nascita, americano d'adozione, Wolf cresce in California, frequentando gli ambienti della UC Berkeley. Nei dieci anni trascorsi in Cina il fotografo esplora la cultura asiatica, ricerca l’identità artistica-fotografica di luoghi-simbolo dell'est moderno, carpisce scatti da metropoli in corsa.
Con “Architecture of Density” l'artista scopre che la monotonia urbana è scandita da dettagli umani. La regolarità delle geometrie cittadine è viva. Wolf indaga l'essenza dell'architettura residenziale. Il senso di plasticità, appena accennato, di luoghi disabitati degli ambienti asiatici, svanisce di colpo. Colori delle piante, confusione degli abiti appesi alle finestre, impalcature: l'irregolarità umana irrompe in edifici altrimenti tutti uguali.
Ecco l'umanizzazione degli stabili. Il fotografo rileva lo “spirito umano” dalla “giungla urbana”. Dall'Asia agli States il passo è breve, Wolf ci affascina anche con scatti in notturna tratti da “Transparent City”, sua personale di Chicago.
Grattacieli a vetri che sembrano specchi, edifici che si riflettono a vicenda, luci che inondano gli interni degli appartamenti. Wolf ci presenta “la notte” di Chicago. Siamo incantati dal gioco di colori delle immagini. Le istantanee si nutrono dello scintillio delle stanze. L'artista immortala grattacieli come fossero gioielli animati..
Negli scatti di Michael Wolf l’architettura urbana, nella città di Obama, si fonde con estetica.
“Transparent City” incarna lo spirito di “Cities-Places Visionaires”: gli spettatori osservano, scrutano, spiano interni; quasi entrano nelle stanze illuminate a giorno, la sensazione è di far parte degli scatti. La trasparenza ci fa abitare nella vita notturna degli appartamenti.
Riflettiamo. Che c'è dietro tutto questo? Le trasparenze di Wolf testimoniano che le dicotomie pubblico/privato, rivelato/nascosto, emerso/anonimo si annullano: la vita di ognuno si svolge sotto gli occhi di tutti. Deve essere trasparente, pubblica, nota, indagabile.
Wolf si interroga anche sul concetto di back-door: “entrare nelle vite degli altri attraverso la porta d'ingresso equivale a conoscere solo una parte della realtà: la versione migliore. Carpire le culture significa non accontentarsi dell'apparenza, indagare al di là del “già svelato”, andare oltre le “realtà ufficiali”. Temi di una mostra o calda attualità dell'Italian politics?
Confermate le attese dei visitatori: tra la folla ascoltiamo commenti. Per Maria, giovane architetto, Wolf colpisce per “la curiosità che suscitano i suoi scatti: è attento al dettaglio, valuta l'importanza del particolare. Luci, interni, persone nei grattacieli sembrano così veri da viverci dentro”. Per Chiara, fotografa, “le istantanee di Wolf hanno un'essenza spiccatamente personale. Vede cose ordinarie in modo straordinario. E' affascinante ammirare l'architettura dei grattacieli, dove, dietro la scansione geometrica, ripetitiva di finestre e cornicioni, si riesce a intravedere una mano o un volto che prendono vita in scatti di interni abitati”.
Salutiamo la curatrice della mostra, Camilla Boemio, che qualche giorno dopo ho gentilmente concesso un'intervista ad i-italy.
“Cities–Places Visionaires” è una collettiva composta di tante personali. Abbiamo visto tanti artisti dello scatto all'opera. Chi è il fotografo?
Le rispondo con un film. In “L’uomo con la macchina da presa” del '29 per il regista Dziga Vertov il fotografo è un esteta in movimento. L’artista coglie l’aspetto capillare della rapidità, intuisce il cuore pulsante dell'azione, vive l'essenza della realtà. Gli scatti permettono di vedere spaccati di esistenze lontane, altrimenti inarrivabili ai più. Conseguenza grandiosa della fotografia è che ci dà la sensazione di avere in testa il mondo intero, come antologia dell’immagini.
Con “Cities–Places Visionaires” scopriamo che è possibile catturare brio, fugacità di Metropoli "in corsa". Perchè “fotografare” l'architettura?
Una domanda, mille risposte. In primis “Cities” dimostra che costruzioni, edifici, grattacieli non sono blocchi di cemento senz'anima. Il dinamismo che esprimono lascia intuire il brulicare di vita al loro interno.
Inoltre fotografare l'architettura è un atto psicologico: “Cities–Places Visionaires” libera le città dal monotono, le rivisita in chiave eccentrica, inaspettata, trasfigurata, eclettica. “Cities” vuole fare sognare il visitatore: le mostre, come il cinema, spalancano ponti all’immaginario, offrono vedute sconosciute, ricchezze impalpabili.
Infine i fotografi, donano agli scatti atmosfera, forma, luce di una determinata architettura o di uno scorcio della città, con atti di non-intervento. In un panorama di eventi, si spostano con agilità e rapidità tali che è impossibile alterare la realtà. Non c'è manipolazione.
In “Cities–Places Visionaires” le immagini sono concentrate su scorci di
città e nessuna ritrae donne e uomini. La presenza umana c'è solo nei due video...perchè questa scelta?
La fotografia urbana, per sua natura, mette in primo piano le città. E' una fotografia di ricerca, esplora stili innovativi, enfatizza l'architettura inedita dei luoghi. Le metropoli sono protagoniste. L’uomo appare di rado e, quando accade, sempre come “labile contorno” alla scena.
Detto questo “Cities–Places Visionaires” è un'eccezione alla ragola. Nei video l'uomo è ripreso in metropolitane, strade, campi sportivi. Appare in spazi vitali della città. Luoghi di aggregazione. La presenza umana è ovvia, quasi scontata. Ma anche negli scatti di Zanta colori sgargianti suggeriscono l'idea di palazzi abitati. Wolf fotografa panni stesi, luci accese, persone in relax tra le trasparenze dei giganti di Chicago! Il messaggio è chiaro: l'uomo c'è, esiste! Nei video la presenza umana si rivela, nelle foto si percepisce, s'intuisce ma spicca comunque nell'anonimato di una metropoli.
Zanta ha esposto negli States. A Basilico è stato commissionata una serie sulla Silicon Valley. Wolf è tedesco, ma cresciuto in California. “Cities–Places Visionaires” ha subito il fascino dell'American Dream? Che differenze e/o somiglianze ci sono tra la fotografia europea e quella americana?
I due stili hanno in comune il rigore lavorativo, ma cambiano gli scenari tra la fotografia del paesaggio in Europa e negli Stati Uniti. E' proprio la “qualità” specifica dei territori a stelle e strisce a creare la differenza. Gli artisti made in USA sperimentano un senso di solitudine davanti a soggetti vasti e “vuoti”, quasi uno spaesamento di fronte l'enormità dei luoghi. Il fotografo europeo lavora in uno stato “metafisco”, in cui regna una sensazione di tempo sospeso, quasi inesistente. Gli europei rappresentano il mondo recuperando lentezza dello sguardo. Ciò permette di cogliere particolari, di contemplare l'ispirazione che lo proietta oltre la capacità percettiva del reale. Quasi a dire “più di questo non si può vedere...”.
Basilico sostiene che “negli scatti alla Silicon Valley e a San Francisco ho trovato corrispondenze e analogie con l'Italia. Le “presenze familiari” in territori stranieri, attenuano il senso lo smarrimento di fronte al nuovo”.
Michael Wolf, noto come "il Tedesco d'America", in “Architecture of Density”, exibition newyorkese del 2004 espone scatti di skyscrapers di Hong Kong. In “Trasparent City” ritrae grattacieli di Chicago, elementi-simbolo dell'architettura statunitense..
Il Museum of Contemporary Photography di Chicago e la Columbia College hanno commissionato “Trasparent City” a Wolf nel 2007. L'obiettivo? Enfatizzare l'ondata di nuova costruzione che ha investito Chicago. Rinnovare lo spirito di sperimentazione architettonica tipica della città. Wolf sceglie di fotografare gli amati skyscrapers, il cuore pulsante della megalopoli. E non stupisce. In America vita, amore, carriera...tutto s'intreccia tra le mura di questi colossi con l'anima. I grattacieli di Chicago per Wolf sono icone dell'American style, un mix di introspezione, dinamismo culturale e passioni dell'animo umano.
In "Mnemosyne", sua esposizione precedente, lei ha lavorato con molti artisti di New York: Luis Gispert, Steven Klein, Richard Kern, Tony Oursler. Che valore ha l'arte fotografica nella Grande Mela?
Dalle gallerie di Soho alle salette nascoste del Greenwich e dell'Est Village: tutti gli angoli di Mahnattan svelano il carisma dell'arte visiva nella Grande Mela.
Pittura, scultura, architettura, New York è sempre stata l'epicentro, l'espressione viva dei principali linguaggi artistici contemporanei. Qui il mito della fotografia è fulcro di sperimentazione creativa, intesa come gioco di stili, azzardo di generi, sfide negli accostamenti che, riflettono l'anima caleidoscopica di Manhattan, dando vita a nuove alchimie artistiche.
La realtà immortalata trapela dalle immagini di “Cities–Places Visionaires”. Ogni spettatore poi ne da una propria interpretazione. Quanto c'è di “visionaires” negli scatti?
La città e le visioni che di esse hanno gli artisti si fondono. Non v'è distinzione tra gli scorci urbani e l'idea che ne ha il fotografo. In “Cities–Places Visionaires” gli spettatori, vedono grattacieli, strade, piazze, ma con lo sguardo dell'artista, attraverso il suo occhio.
Eccoci ad osservare una realtà che spazia “nel limbo dell’immaginario”.
In “UrbanEurope” di Zanta conosciamo i motivi del viaggio in Europa del fotografo, ma ci sfugge la scelta di alcune città piuttosto che altre, di alcuni spaccati urbani che di altri. Nell'istallazione “Berlino” di Basilico si vedono palazzi ma cosa ispira il fotografo nell'immortalarne uno invece che un altro? In Wolf capiamo la sua filosofia del ritrarre grattacieli, ma perchè abbia una prospettiva invece di un'altra...è tutto dentro il suo immaginario. Pensieri, sensazioni, stati d'animo, emozioni brulicano nella mente di questi maestri della fotografia. Noi non possimo entrarvi. La fotografia è un'arte tout court. Ovvia da intuire, difficile capire davvero.
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